I tentativi di espropriazione
Il nodo dell’espansione israeliana
Gli ultimi governi israeliani, presieduti da Benjamin Netanyahu, leader del partito conservatore Likud, hanno appoggiato l’espansione delle colonie nella West Bank occupata. Ed è stato proprio lui, Netanyahu, a chiedere alla ultime elezioni un “mandato chiaro” per annettere gli insediamenti allo Stato di Israele – ad oggi ritenuti illegali secondo i trattati Onu e il diritto internazionale. Punto nevralgico dell’accordo per la formazione del nuovo governo – con Benny Gantz del partito Blu e Bianco – l’annessione non verrebbe ostacolata dagli Stati Uniti di Donald Trump che aveva lanciato la “via americana” alla risoluzione del conflitto, il cosidetto “Accordo del Secolo”: Gerusalemme capitale con una cessione ai palestinesi nella parte est, annessione delle colonie e riconoscimento di uno Stato palestinese a cui Israele avrebbe ceduto alcuni territori al confine con l’Egitto. Un accordo duramente respinto dall’establishment di Ramallah.
“Rifiutiamo di odiare il prossimo”
“Vivere qui significa non poter costruire strutture alte più di 80 centimetri in altezza sulla tua proprietà fuori dalle città, non avere accesso ai servizi idrici ed elettrici”, spiega. Pannelli solari, cisterne per la depurazione dell’acqua piovana, ciclo di compostaggio dei rifiuti: con l’aiuto dei volontari la fattoria è diventata autosufficiente. Ma l’isolamento è imposto anche a livello di comunicazioni: l’accesso all’arteria principale che collega i vicini villaggi palestinesi con Gerusalemme è stata bloccata oltre dieci anni fa con massi e terrapieni. Questo, però, non ha fermato i volontari che ogni anno vivono per un periodo nella fattoria o vengono soltanto a portare la propria solidarietà. “Negli anni abbiamo subito da parte dei coloni minacce, danni alla proprietà, sradicamento di alberi – afferma Daoud – Nel 2013 l’esercito ha eseguito un ordine di rimozione sradicando un centinaio di alberi con i bulldozer”. We refuse to be enemies, c’è scritto su di una pietra all’ingresso della fattoria. “Molti palestinesi sono scoraggiati; per i giovani costruire una propria identità è sempre più complesso. Rifiutiamo di odiare il prossimo, anche chi ci opprime perché non crediamo che questo non porti a nulla; ci rifiutiamo, però, anche di sentirci vittime – precisa -; inoltre siamo saldi nella nostra fede cristiana che è al centro di questa resistenza non violenta. Credo – conclude – che un giorno la giustizia prevarrà”.